EVENTI ASSOCIATIVI
ZES – conferenza Confimi Industria Campania: nasce l’asse Bari/Napoli per promuovere la Zes del Sud Italia
Napoli, 7 luglio 2023 – Si è tenuta a Napoli, presso la sala “Caduti di Nassiriya” del Consiglio Regionale della Campania, la conferenza organizzata da Confimi Industria Campania e promossa insieme a Confimi Industria Bari e Centro Studi Intrapresa. L’obiettivo principale dell’incontro è stato quello di sostenere l’estensione delle Zone Economiche Speciali (ZES) a tutte le regioni del Mezzogiorno, illustrando l’ampia panoramica di opportunità in termini di semplificazione ed incentivi che queste possono offrire alle imprese per la crescita e lo sviluppo.
I lavori, introdotti dalla giornalista Brunella Cimadomo e moderati da Luigi Carfora Presidente di Confimi Industria Campania, hanno visto la partecipazione di politici, esperti, accademici, banchieri e imprenditori che hanno condiviso il significato della prospettiva di sviluppo offerta dalle ZES e l’opportunità di un suo allargamento a tutto il Mezzogiorno d’Italia. Sono intervenuti tra gli altri: Sergio Ventricelli, Vice Presidente Nazionale di Confimi Industria con delega alle Infrastrutture, Ricerca e Università; Alfonso Cialdella, Presidente di Confimi Industria Bari e del Centro Studi Intrapresa e Riccardo Figliolia, Segretario Generale del Centro Studi Intrapresa e di Confimi Industria Bari, che hanno ribadito l’importanza strategica dello strumento ZES per assicurare impulso e nuova energia alla manifattura meridionale e il rinnovato accordo per un asse tra Bari e Napoli, capitali industriali del Mezzogiorno, per favorire un allargamento dei meccanismi straordinari della ZES.
Di rilievo l’intervento di Manlio Guadagnuolo, Commissario Straordinario della ZES Adriatica Puglia-Molise, che ha condiviso le best practice e le esperienze relative all’implementazione della ZES, e ha annunciato che la decima edizione dell’evento mondiale ‘Aice 2024’ delle oltre 4.500 ZES e delle 2.260 Zone franche di 140 Paesi si terrà per la prima volta in Italia, a Bari, dal 27 al 29 maggio 2024.
LEGISLAZIONE
DECRETO LAVORO N.85/23
È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, la Legge di conversione con modificazioni, del Decreto Lavoro n. 85/2023. Tra le novità di maggior rilievo riportiamo:
– Semplificazione delle informazioni dovute dal datore di lavoro al momento dell’assunzione: si può rimandare alla normativa di riferimento e alla contrattazione collettiva applicata;
– Razionalizzazione delle causali ed introduzione di un regime transitorio circa la decorrenza del nuovo periodo di acausalità: nello specifico, in caso di stipula di un rinnovo si terranno in considerazione solo i contratti siglati dal 5 maggio 2023;
– Incentivazione dell’utilizzo dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dai limiti quantitativi i somministrati assunti con contratto di apprendistato ed esenzione dai limiti quantitativi della somministrazione a tempo indeterminato di lavoratori in “ex mobilità”, soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati;
– Detassazione delle misure di welfare, limitatamente al 2023, con elevazione sino a 3.000 euro della soglia dei fringe benefits per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico. Per coloro che non hanno figli a carico la soglia di esenzione resta pari ad € 258,23.
– Taglio del cuneo fiscale dei contributi a carico dei lavoratori, per i periodi di paga da luglio a dicembre 2023, con riduzione della aliquota contributiva a carico dei lavoratori subordinati che guadagnano fino a 35.000 euro lordi annui del 6% (mentre la legge di Bilancio 2023 prevede il 2%) senza incidenza sulla tredicesima. Resta applicabile l’ulteriore punto di riduzione per chi guadagna fino a 25.000 euro (che passa, quindi, al 7%).
SGRAVIO DONNE SVANTAGGIATE LEGGE DI BILANCIO 2023
La Legge di Bilancio 2023 ha previsto uno sgravio totale per le assunzioni di donne appartenenti alle seguenti categorie:
– donne con almeno cinquant’anni di età e disoccupate da oltre dodici mesi;
– donne di qualsiasi età residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
– donne che svolgono professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità di genere, con un tasso di disparità uomo – donna che superi di almeno il 25 per cento la disparità media uomo-donna, e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
– donne ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi.
Lo sgravio è ammesso per le assunzioni a tempo determinato, indeterminato nonché alle trasformazioni a tempo determinato, per tutto l’anno 2023 e nel limite massimo di € 8.000,00 annui.
Con circolare n. 58/2023 l’Inps ha fornito le istruzioni operative ed i requisiti che devono sussistere per poterne beneficiare. I programmi delle paghe si stanno adeguando per permettere il recupero dei mesi pregressi.
UNDER 36
A seguito dell’autorizzazione da parte della Commissione Europea, l’INPS con circolare n. 57/2023 ha fornito le istruzioni operative per poter applicare lo sgravio:
– spetta per le assunzioni di giovani under 36 a tempo indeterminato o trasformati e che non siano mai stati occupati a tempo indeterminato nella loro carriera lavorativa.
Per l’anno 2023 lo sgravio è pari al 100% dei contributi per massimo 36 mesi e nel limite massimo annuo di € 8.000,00 (€ 6.000,00 per l’anno 2022).
SOMMINISTRAZIONE
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO: VANTAGGI PER AZIENDE E LAVORATORI
Ricorrendo alla somministrazione di lavoro le Utilizzatrici possono legalmente beneficiare di prestazioni lavorative senza che ciò comporti l’assunzione degli oneri tipici di natura giuridica, economica, amministrativa e gestionale derivanti dall’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato diretto. L’impiego di Lavoratori somministrati consentirà infatti di:
– ottimizzare i costi di ricerca, selezione e gestione dei dipendenti;
– beneficiare (comunque) degli incentivi economici/contributivi previsti in caso di assunzione diretta;
– terziarizzare fasi della produzione ed internalizzare figure caratterizzate da una elevata professionalità;
– non computare i Lavoratori somministrati nell’ organico dell’azienda ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
– computare nella quota di riserva i Lavoratori somministrati disabili;
– non essere assoggettati ad alcun limite quantitativo in caso di impiego di Lavoratori c.d. svantaggiati o molto svantaggiati;
– avere a disposizione 6 o 8 proroghe per ciascuna missione lavorativa.
In funzione delle reali esigenze si potranno avviare; attraverso l’ ausilio del fondo FORMATEMP per la formazione del personale in somministrazione; corsi di formazione BASE (sicurezza generica e specifica), formazione PROFESSIONALE (per formare professionalmente i candidati a missione a seconda delle esigenze della nostre AZIENDE CLIENTI), formazione ON THE JOB (con l’ avvio della missione in somministrazione il dipendente potrà essere formato direttamente da un tutor messo a disposizione da parte dell’AZIENDA CLIENTE senza subire costi aggiuntivi).
per approfondimenti clicca il link:
https://www.jobitalia.net/notizie/
WELFARE
CONVERSIONE DECRETO “LAVORO”: Confermato innalzamento soglia esenzione fringe benefit
La conversione in L. 85/2023 del Decreto “Lavoro” ha confermato l’aumento ad € 3.000,00, per il 2023, del limite di non imponibilità dei fringe benefit per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico. Tale innalzamento impone ai datori di lavoro una serie di verifiche nel caso volessero applicare la nuova disposizione normativa.
Pertanto, mentre per tutti gli altri lavoratori, il limite individuale annuo resta fermo ad € 258,23, solo per l’anno d’imposta 2023, l’erogazione di beni e servizi, anche mediante titoli di legittimazione c.d. voucher, non sarà imponibile, sia dal punto di vista fiscale che previdenziale, tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore titolare dello stato previsto dalla legge, fino ad € 3.000,00.
Sempre limitatamente ai lavoratori dipendenti con figli a carico, sono qualificati come benefit agevolabili anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.
E’ opportuno precisare che il superamento della soglia annua di non imponibilità, comporterà l’assoggettamento a imposte e contributi dell’intero valore dei benefit riconosciuti, in questo caso per tutti i lavoratori. Infatti anche l’erogazione di un solo centesimo in più rispetto alle soglie di esenzione su riportate, comporterà, per i lavoratori, l’assoggettamento al prelievo fiscale e contributivo sull’intero valore dei benefit, mentre il datore di lavoro dovrà versare la contribuzione a proprio carico.
Le aziende quindi, qualora intendessero erogare i suddetti benefit ai lavoratori titolari delle condizioni soggettive previste dalla norma, dovranno munirsi dell’elenco dei lavoratori potenzialmente beneficiari dell’agevolazione, ovvero con familiari a carico e titolari dell’assegno unico per i figli.
Pertanto, le aziende che hanno adottato un piano di welfare dovranno aggiornare lo stesso, verificando il valore (al lordo dell’Iva) dei benefit già erogati nel 2023 ai lavoratori beneficiari del nuovo diritto e programmare le erogazioni future.
Prima di tutto sarà necessario, qualora il datore non avesse un elenco aggiornato dei dipendenti con figli a carico, richiedere ai lavoratori di comunicare questo dato tramite una autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000, per l’anno di imposta 2023, richiedendo al lavoratore i codici fiscali dei figli a carico.
Sarà, inoltre, necessario prevedere un vincolo in capo al dipendente beneficiario di comunicazione tempestiva al datore di lavoro, di eventuali variazioni dello status dichiarato.
Effettuati i dovuti passaggi e verifiche, si potrà procedere a programmare le eventuali iniziative aziendali, avendo cura di mantenere sempre un margine di sicurezza rispetto al valore massimo erogabile e non imponibile.
Infatti, è opportuno ribadirlo, il superamento della soglia comporterebbe l’assoggettamento a tassazione e contribuzione dell’intero importo erogato al lavoratore e, per l’azienda, il versamento della relativa contribuzione a suo carico.
Avv. Marco de Feo
Per le persone e le aziende, da Roma tornando a Bari
È con vero piacere che mi presento come neo associata a CONFIMI BARI BAT FOGGIA. Sono un’imprenditrice avendo fondato, nel 2005, BeOn società di consulenza in ambito di sviluppo Risorse Umane. Spero, con queste poche righe, di condividere il perché della mia adesione.
Mi chiamo Giusi Pappalepore, sono nata a Bari e in questa splendida città, che amo profondamente, ho vissuto fino agli anni del liceo, per poi laurearmi in Psicologia del Lavoro a Roma. Da allora, nelle multinazionali della consulenza prima e in BeOn poi, ho accompagnato moltissime aziende, di
ogni dimensione e settore, nei loro programmi di cambiamento realizzando progetti dedicati allo sviluppo delle persone che ne sono parte.
Ho sempre cercato di colmare la distanza tra Roma e Bari soprattutto a livello professionale. Ho portato in importanti aziende del nostro Territorio quel valore e quella passione che ha contribuito a migliorare i risultati attraverso la crescita delle persone e che da più di trent’anni mi guida.
Sono da sempre convinta che sono le Persone, le loro risorse interne, i loro talenti unici e le loro competenze, la loro motivazione, l’espressione della loro diversità, a determinare il successo di un’azienda. Ora, sulla base dei risultati raggiunti come imprenditrice e consulente, posso dire che è davvero così.
Non solo.
Fin da subito infatti mi sono resa conto che non basta che le persone nutrano senso di appartenenza, orgoglio, per essere efficienti e lavorare bene. Certo questo è un elemento necessario, ma non più sufficiente. La complessità nella quale siamo immersi richiede la creazione di uno “spazio” consono, adatto, favorevole a mantenere, anzi a rinforzare il senso di appartenenza, rinnovandolo, per “abitare” serenamente e produttivamente le aziende.
È fondamentale che le persone nelle organizzazioni stiano “bene”. In altre parole, che il lavoro sia sostenibile, che contribuisca, e non sia di ostacolo, al loro benessere. Ciò vuol dire per me l’espressione più armoniosa e autentica delle proprie potenzialità, capacità, competenze, valori, distintività.
GESTIONE RISORSE UMANE
LAVORARE MENO, LAVORARE MEGLIO – Il dibattito sulla settimana corta in Italia: tra flessibilità e competitività.
“Lavorare meno, lavorare meglio” è lo slogan che oggi, tradotto in varie lingue, accompagna i cortei dei lavoratori in diversi Paesi Europei.
Un motto che certamente non nasce oggi, ma più di cinquanta anni fa nella sua versione originale “lavorare meno, lavorare tutti”. Quest’ultimo – il più antico – rispondeva ad una finalità occupazionale; la versione più moderna, invece, incontra e sostiene esigenze diverse che si incastrano e si incontrano nel mondo del lavoro. Le esigenze più impellenti dei lavoratori del terzo millennio sembrano tutte legate da un comune fil rouge: la flessibilità, possibilmente spazio-temporale e quindi, più in generale, la realizzazione del work-life balance.
Abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare le potenzialità di questo concetto in un momento particolarmente difficile per il nostro Paese e per il mondo intero, quando il lavoro agile ha permesso di modificare repentinamente l’organizzazione del lavoro, conciliando i diritti costituzionali al lavoro ed alla salute. L’interesse per la flessibilità, tuttavia, persiste anche oggi che l’emergenza sembra essere passata.
L’attrattiva dei lavoratori per nuove e diverse modulazioni dell’orario di lavoro in grado di conciliare le esigenze degli stessi, con un aumento dei benefici anche per le aziende, si innalza chiaramente dalle fila delle organizzazioni sindacali ed anche dai tavoli di consultazioni interni alle aziende, dove argomento costante è la flessibilità del lavoro e si inizia a parlare sempre più della settimana corta quale punto di arrivo del benessere sociologico, anche per contrastare il boom delle dimissioni che sta interessando soprattutto i lavoratori più giovani, come la generazione Z. Il rischio è che sia solo utopia.
La riduzione della settimana lavorativa è un processo che ha avuto avvio negli anni Sessanta, quando si è trasformata la settimana lavorativa negli odierni cinque giorni (perlomeno in buona parte dei settori dell’industria e dei servizi).
Oggi siamo ad una nuova svolta culturale.
Anche in Italia, come del resto nella maggior parte dei Paesi europei, il dibattito mediatico e giuridico in materia lavoristica è incentrato sulla rimodulazione della settimana lavorativa. La scansione tradizionale degli orari di lavoro nostrana si attesta, nella maggior parte dei casi, su otto ore al giorno, quaranta ore settimanali su cinque giorni; pur tuttavia sono presenti all’interno del tessuto economico nazionale settori produttivi in cui il numero di ore settimanali è inferiore alle quaranta canoniche. Tanto è vero che la media delle ore lavorate settimanalmente dai cittadini italiani si assesta su 37,8 ore alla settimana ed è una delle più basse all’interno dell’Unione Europea. Tali assetti organizzativi si inseriscono in una normativa nazionale che agli art. 4 e 7 del d.lgs. 66/2003 si premura di fissare unicamente i limiti massimi dell’orario settimanale – appunto le canoniche quaranta ore, con una punta massima consentita per particolari esigenze fino a quarantotto ore – e il numero di ore di riposo consecutive che devono essere assicurate al lavoratore tra una giornata lavorativa e quella successiva, fissate in undici ore.
Sostanzialmente, il legislatore nazionale dopo aver fissato i punti cardine in materia di orario di lavoro – affinché venga assicurato l’esercizio del costituzionale diritto al riposo – lascia alle organizzazioni aziendali ovvero alla contrattazione collettiva la facoltà di modellare l’orario di lavoro a seconda delle specifiche esigenze.
Orbene, posti questi punti cardine in materia di orario di lavoro, per procedere ad una disamina delle proposte in merito alla rimodulazione della settimana lavorativa è necessario innanzitutto comprendere come questa possa avvenire secondo metodologie diverse, pur perseguendo lo scopo unico di ridurre a quattro le giornate lavorative.
Una prima ipotesi – sulla scia della recente normativa belga – sarebbe quella di modificare il numero di giorni lavorativi all’interno della settimana lasciando invariato il monte ore totale. Consequenzialmente, si lavorerebbe dieci ore al giorno, per quattro giorni. In particolare, la normativa belga prevede la possibilità di scegliere se lavorare più ore per quattro giorni o meno ore per cinque giorni, ponendo così il lavoratore nella possibilità di conciliare, di settimana in settimana, la sua vita personale con quella lavorativa. Un tale approccio alla questione della settimana corta non giustifica alcun tipo di discussione in merito al mantenimento del livello retributivo, in quanto si presume non si creino divergenze in ambito di livelli produttivi, non intervenendo sul monte ore totale.
Se si volesse dare seguito a questa prima idea applicativa, da un punto di vista prettamente giuridico non sorgerebbe alcun tipo di problematicità trattandosi semplicemente di una scelta organizzativa che può essere portata avanti autonomamente dal datore di lavoro, inserendosi perfettamente nella cornice normativa in materia di orario di lavoro precedentemente prospettata e non implicando alcun tipo di reformatio in peius delle condizioni contrattuali, soprattutto economico – retributivo dei lavoratori.
Una seconda ipotesi attuativa potrebbe invece sostanziarsi in una rimodulazione della settimana lavorativa con contestuale riduzione dell’orario di lavoro a trentadue ore di lavoro (mantenendo le otto ore giornaliere) ovvero trentasei ore settimanali (seguendo l’esempio di Intesa Sanpaolo che ha innalzato il monte ore giornaliero a nove ore, per quattro giorni settimanali, lasciando ai lavoratori la possibilità di programmare quando usufruire della settimana corta e quando della settimana normale, tenendo conto della compatibilità con le esigenze tecniche e produttive dell’azienda), mantenendo inalterati i livelli retributivi. Ebbene è evidente che sia quest’ultima la tesi che trova maggior consenso nella popolazione dei lavoratori, in quanto implica concretamente ridurre il tempo di lavoro rispecchiandosi nella tendenza di lasciare più tempo alla vita personale in un’ottica di continuo bilanciamento e conciliazione della stessa con la vita professionale. Lo scenario non appena prospettato può trovare attuazione soprattutto nella consapevolezza della condivisione di progetti e valorizzazione dei risultati per il benessere delle persone, avanzando, quindi, nella nuova tornata contrattuale elementi importanti come la responsabilità, la fiducia, la libertà, riconosciute al pari della paga oraria, come valori economici e professionali della prestazione lavorativa. In quest’ottica, elemento imprescindibile è la capacità dei lavoratori di assicurare, d’altro canto, inalterati livelli di produttività.
I nuovi sistemi organizzativi e tecnologici consentono guadagni di produttività e riduzione della fatica del lavoro e la indubbia possibilità di rimodulare gli orari dei dipendenti ma non in automatico ovviamente. Per arrivare all’orario sperato, dunque, è necessario programmarlo in una organizzazione condivisa di un lavoro per obiettivi di crescita e ciò comporta una sfida alla nuova cultura di impresa nel rispetto reciproco. In tal senso, l’idea della settimana corta si inserisce perfettamente nella strada maestra del lavoro per obiettivi segnata dalla l. 81/2017 – in materia di smart working -, laddove l’art. 18 parla già chiaramente non solo di una flessibilità di luogo del lavoro ma anche di una flessibilità temporale, che ben si coniuga con la volontà di ridurre il numero di giornate lavorative, in stretta correlazione con la necessità di aumentare la competitività delle imprese, elemento imprescindibile per assicurare la resistenza dell’impresa stessa sul mercato. Anche se, applicando l’art. 18 della l. 81/2017, più che parlare di riduzione dell’orario di lavoro a parità retributiva potremmo ricollegare i salari agli obiettivi raggiunti, controllando l’orario di lavoro solo con riferimento al rispetto dei limiti legali anzidetti.
Tuttavia, considerando che la verifica del mantenimento dei livelli di competitività e di produttività dell’imprese è elemento imprescindibile alla verifica di fattibilità della rimodulazione della settimana lavorativa, quest’ultima è da ritenersi di appannaggio solo di determinate e circoscritte attività professionali: quelle attività che per loro stessa natura permettono una concentrazione della produttività in un minor numero di ore, ovvero quelle attività dove la produttività del singolo lavoratore è slegata dal resto della supply chain. Nella filiera manufatturiera o, più in generale, in qualsiasi attività produttiva basata su linee di lavoro continue che includono anche il lavoro notturno, è impensabile mantenere inalterata la produttività del singolo lavoratore diminuendo le ore di lavoro, senza ripercussioni – anche notevoli – sull’ergonomia dell’attività lavorativa o direttamente sulla salute.
In questi casi, pertanto, l’applicazione della settimana corta esigerebbe l’assunzione di nuovi lavoratori con consequenziali maggiori costi per le aziende e minori concrete possibilità attuative. In tale ottica, la settimana corta si appaleserebbe quale istituto di appannaggio esclusivo di alcune tipologie di lavoro, sembrando essere pensato esclusivamente per i cd. white collar.
L’unica ipotesi non attuabile – a parere di chi scrive – è quella di imbrigliare la settimana corta in una norma di legge, perché significherebbe privarla di quella intrinseca flessibilità che invece è necessaria affinché quest’istituto possa rappresentare realmente il volano dell’organizzazione del lavoro, che punti ad un sistema più confacente alle necessità di tutti i protagonisti del mondo del lavoro.
In conclusione, deve ritenersi che il ruolo centrale in questo cambiamento epocale deve essere assegnato alle relazioni industriali e sindacali che, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva di secondo livello, ben possono rimodulare l’orario di lavoro settimanale creando una organizzazione sartoriale che concili la richiesta di flessibilità dei lavoratori con l’esigenza di produttività e competitività dei datori di lavoro.
di Francesco Amendolito
Professore Straordinario di Diritto del Lavoro e Relazioni Sindacali
Università L.U.M. Giuseppe Degennaro
Presidente AIDP Puglia e referente nazionale AIDP PMI
PROSSIMI APPUNTAMENTI
Si terrà a Lecce il prossimo Focus di Confimi Industria Bari sulle Zone Economiche Speciali. Appuntamento il 29 settembre, ospiti degli amici di Confimi Industria Lecce, in collaborazione con tutti i Propeller Clubs di Puglia e quello di Roma, affronteremo con il Commissario Manlio Guadagnuolo il tema "ZES: MANIFATTURA E LOGISTICA PER LO SVILUPPO DEL SUD ITALIA", con esperti, imprenditori ed autorità.